LUIGI ARMANDO OLIVERO
2 novembre 1909 ~ 31 luglio 1996
di Giovanni Delfino
Rondò dle masche L'Alcyone, Roma, 1971
Ij faunèt Il Delfino, Roma, 1955
Articoli di Giovanni Delfino riguardanti Luigi Olivero pubblicati su giornali e riviste
Le poesie di Luigi Armando Olivero (Seconda parte)
Le poesie di Luigi Armando Olivero (Terza parte)
Poesie di Luigi Olivero dedicate allo sport
Pubblico qui sei poesie scritte in lingua italiana da Olivero tra i diciassette e i venti anni. Poesie che oggi potrebbero tranquillamente considerarsi inedite data la scarsa diffusione dei giornali che le offrirono al proprio pubblico. Sono una testimonianza degli inizi del percorso poetico del Nostro.
La settima poesia è del 1954. È stata composta per un concorso nazionale bandito sul tema del Mutilato di Guerra di cui è risultata vincitrice.
Margherita di Savoia
Fosti. Te volle nel manto candido
con mano lieve la Morte avvolgere.
Te volle, col trepido bacio
sulla bocca, la Vita lasciare.
Volle il destino segnarti il limite
del queto scorrere dei giorni splendidi
vissuti nell'opere del Bene
nella luce del Bene trascorsi.
Oh, come bella solevi e fulgida
ne gli anni giovini mostrarti al popolo
ch'a l'aure il tuo nome dicendo
con gentile vociar t'acclamava.
Oh, come in cuore tutti portavano
la dolce immagine del tuo sorriso:
qual raggio di stella fulgente
sulle sorti d'Italia brillava.
Fu il tuo sorriso luce adamàntina
che la nascente stella d'Italia
raggiò nel chiarore dell'aurora
come incontro alle glorie future.
Era l'aurora sorgente nivea
su su dall'arco ferreo dell'Alpi,
era il fatale disperdersi
della notte del cieco servaggio.
Era lo scuotersi. Un grande popolo
sulle vicende tristi dei secoli
rifacea la propria grandezza
come nei primi tempi di Roma.
E tu, Regina, con l'occhio cerulo
fissante i liberi spazi dell'aere,
sognavi il tuo popol di forti
ritemprato nell'arduo lavoro.
Giù per le valli d'ubertà floride
biondi fantasmi vedevi correre
portati dall'ala del vento
carezzante nei vesperi bruni.
Erano quelli i biondi fantasmi
cari al Poeta che nel suo libero
canto, d'Italia la prima
Te fra le belle, te fra le buone
chiamava, i dolci suoni dicendoti.
A te d'intorno ferveano l'opere
di Scienza, dell'Arte, del braccio
in magnanima forza congiunte.
Ma da nen lungi sentiva il popolo
che una fraterna voce chiamavalo:
la mano porgendo al fratello
la bandiera innalzò con la spada.
Vinto, sconfitto l'eterno barbaro,
sul nostro suolo doveva sorgere,
su Roma su Roma immortale,
il nuovo sole: il sol della Gloria.
E il sole nacque, nacque dai ripidi
monti del Carso, nacque dai vertici
impervi dell'alto Trentino,
dalle memori sponde del Piave.
Nacque, e nel cielo si vide assurgere
bella una vergine dall'ali candide
volando sul carro di Morte
agli Eroi intrecciando corone.
E tu vedesti: tu, pur le lagrime
del cor spargendo, con atto semplice
alle Madri benedicesti
alle tue genti forti. Morivi.
La terza Italia di luce folgora.
Di fiori candidi sparga il tuo popolo
i funebri marmi ove posi,
mentre le bionde itale vergini,
sciolte le treccìe sopra le dòriche
spalle, t'intrecciano bianche corone
e baciando il fior del tuo nome
- Italia! Italia! - dicon nel pianto.
Giovinezza d’Italia, Milano ~ Anno I N° 1 - 15 maggio 1926
Per il “Norge” che salpa
Erta la prora rostrale in contro al millenne travaglio
l’arduo portento sorvola pel fosco cammino polare.
Biechi s’incurvano i cieli ignari di tanto ardimento;
rombano l’eliche assidue recando nel rapido corso
tutto l’indomito ardore, tenace virtù di due Stirpi.
Pur, mentre, lungi, tra il cielo nebbioso vaniscon le terre
dove metropoli nere racchiudono gioie e rimpianti,
batte nel petto agli audaci un palpito sacro d’orgoglio
volto a più liberi spazi, volto a più vasti orizzonti.
Palpita in petto agli audaci l’ansioso tormento ch’eleva
l’animo verso la Méta fulgente di candida luce.
- Salve, pionieri dell’aria, eroi della Scienza pugnace!
Bella v’arrida la Gloria plasmata nel bronzo immortale!
dicono innumeri cuori protesi all’incerto domani.
Tacciono i molti, compresi dell’alta titanica lotta.
Mentre l’alata polena procede nel ferreo cammino
veglia dal plinto marmoreo con occhio sereno Colombo.
Pallida Sfinge dei ghiacci, sorridi sorridi al prodigio!
Reca sull’ali fulgenti, o Nike, il solenne trionfo!
Giovinezza d’Italia, Milano ~ Anno I N° 2 - 1 giugno 1926
Passano sussurranti
cantando la canzone del lavoro
lieve il ronzar si unisce in dolce coro
e volano leggiere.
Librandosi nell'aura a debil volo
si posano su i fiori,
òscillan dolcemente su lo stelo
in un tenue sfavillìo d'ali d'oro.
Assimilano il nèttare,
indi ritornan cèleri
sussurrando più gaie all'alveare.
In un gentil concerto,
lievi spaziando per ignote cime,
così dentro il mio cor ronzan le rime.
Sotto il sol della vita
operose, cantando giovinezza,
su i fiori del pensiero
nati agli effluvi della primavera,
si posano succiandogli il liquore.
Così il verso prorompe
dal mio cor folgorando
e lasciandosi una scia d'ali d'oro.
Il pensiero, Bergamo ~ Anno II N° 6 - 5 febbraio 1927
Lùcciole
Mille vaganti lùcciole
a me d’intorno,
di tenua luce brillano
nel rimorir del giorno.
Lievi tra i rami passano,
lambiscon l’erbe e i fiori
e nella sera tacita,
vibrante degli amori
della Natura onnivago,
s’inseguon tra le foglie.
A tratti poi si spengono
e l’ombra in sen le accoglie.
Nello stormir degli alberi
che un lieve venticello
rompe in un tenue murmure
quel silenzio d’avello,
i miei pensieri inseguono
pei serpeggianti viali
le lùcciole che fuggono
librantisi su l’ali!
E fuggono le tremule
farfalle luminose;
e fuggono e s’addentrano
in fra le foglie ascose.
Fuggono. Poi si posano
col debil lume spento
e i miei pensieri perdonsi
con l’alito del vento.
Il pensiero, Bergamo ~ Anno II N° 46 12 novembre 1927
Romanza della quercia
- Levai mie cento braccia
in alto, in contro al raggio
del chiaro sol di maggio,
e al nume risi in faccia.
Cantai madre Natura,
spregia del dio la possa
di sua carogna l'ossa
predissi in sepoltura.
Lo sguardo lampeggiante
irato a me rivolse,
i quattro venti sciolse;
sue posse tracotante
vér me le adoprò tutte.
Balzò la rea bufera,
l'aurora si fe' nera,
le messi andar distrutte.
Furente l'aquilone
incontro a me gittossi,
guizzaro i lampi rossi
nella mortal tenzone.
Avvinta da più parti
in ferrei groppi, orrendi
vivi baglior d'incendi,
con cigolanti gli arti,
m'arser. E a presso a lungo
mortal lampeggiamento
dal suol mi sterpò il vento
divelta al par d'un fungo. -
Giacque distesa al suolo
la quercia fulminata;
l'augel l'ha abbandonata
ha pianto e prese il volo.
Pur ciò morendo disse:
- Benchè quasi sfuggita
io senta la mia vita,
(e al ciel lo sgurdo fisse)
vil gozzovigliatore,
da te fui fulminata
ma la mia sghignazzata
e la mia fè non muore. -
Morì la pastorella
che alla sua quiete ombrosa,
dolce bocciòl di rosa,
fioriva verginella...
Fu, della morta, bara.
Ed a me suona ancora
dall'ultima dimora
lo scherno dell'amara
ma ferma sghignazzata.
La luce è tramontata.
Il pensiero, Bergamo Anno III N° 47 - 16 novembre 1928
ai bimbi ricciuti tutte sere
le storie dei paggetti e delle fate
al lume tremolante del braciere;
io mi vorrei sedere accanto al fuoco
e dirvi del grazioso cavaliere
che seppe innamorar la sua regina.
E chinerei l’altera testa bruna
su le ginocchia vostre alla divina
carezza del chiarore della luna.
entrando dalla gotica vetrata
riporterebbe piano ad una ad una
le storie belle dell’Età passata.
Riporterebbe a me del Poliziano
un ritmo suggestivo di ballata
e un brano di canzon di messer Cino
dal verso bello tutto sentimento,
Vi guarderei negli occhi, da vicino,
come portato in dolce incantamento,
come portato in dolce incantamento
Vi canterei una canzon d’amore:
una canzone di fine sentimento,
come un antico fervido amadore,
Vi chiamerei col nome di Madonna;
sarebbe il canto quel del trovatore
che porta alla sua donna il dolce omaggio
d’un verso delicato e d’una rosa.
D’una notte, direi, di mezzo maggio
d’una boccuccia bella ed odorosa.
sarebbe schiusa, un poco dolcemente,
sì come un porporin bocciòl di rosa
che chiede all’aura fresca il bacio aulente,
poiché del sonno vinti i vostri bimbi
più non udrebbe la mia voce ardente.
Io vi sussurrerei: «Madonna bionda,
la bocca bella il bacio non rifiuta».
La fiaba della Tavola Rotonda
forse verrebbe ancora rivissuta.
La rassegna filodrammatica, Torino ~ VI, N° 1 Gennaio 1930 VIII E. F.
Il mutilato
FRATELLO della statua dissepolta
dal ferro che dà il solco all'aratore:
portate entrambi sècoli d'amore
nella figura mùtila raccolta.
Ma tu, uomo, racchiudi dentro il cuore
un'armonia che il nostro sangue ascolta:
e negli àttimi rossi di rivolta
ci offri la pace figlia del dolore.
Perchè tu, che non parli con la voce
ma con gli arti stroncati dalla guerra
c'insegni la bontà. Tu, Cristo in croce.
Tu, vittima. Tu che il destino serra,
finchè vivrai, nella sua morsa atroce,
c'inginocchi a baciar la nostra terra.
Graal, Bari Anno VI N° 2 ~ maggio 1957
Primo premio del Concorso Nazionale bandito nel 1954 dall'Associazione Mutilati di Guerra di Roma.
Ecco ancora 5 poesie da manoscritto in proprietà privata datate 5 dicembre 1925. Recentemente ritrovate pubblicate su La farfalla dell'editore Nerbini di Firenze del 19 dicembre 1926.
Ecco ancora 4 poesie in italiano di cui mi ha fornito le relative riviste, con grande cortesia, il Sig. Silvio Bonino, collezionista di Margarita CN.
La farfalla Nerbini, Firenze 21 novembre 1926
Pasquino, Torino 1 maggio 1927
Pasquino, Torino 22-29 luglio 1928
Pasqualfaitino, numero unico dell'Associazione Escursionistica Torinese Fait, aprile 1928
Ël Tòr N° 19 1946