LUIGI ARMANDO OLIVERO

2 novembre 1909 ~ 31 luglio 1996

 di Giovanni Delfino

  delfino.giovanni@virgilio.it

 Rondò fle masche

Incisione di Giuseppe Macrì da Rondò dle masche - L'Alcyone - Roma - 1971

 

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Rondò dle masche L'Alcyone, Roma, 1971 

Ij faunèt Il Delfino, Roma, 1955 

Articoli di Giovanni Delfino riguardanti Luigi Olivero pubblicati su giornali e riviste 

Roma andalusa 

Traduzioni poetiche di Luigi Olivero in piemontese e in italiano 

Genesi del poemetto Le reuse ant j'ole: sei sonetti di Pacòt e sei di Olivero 

Commenti ad alcune poesie di Luigi Olivero a cura di Domenico Appendino 

Le poesie di Luigi Armando Olivero (Prima parte) 

Le poesie di Luigi Armando Olivero (Seconda parte)

Le poesie di Luigi Armando Olivero (Terza parte) 

Luigi Olivero Giornalista 

Luigi Olivero e Federico Garcia Lorca 

Luigi Olivero ed Ezra Pound 

Olivero e D'Annunzio 

Sergio Maria Gilardino - L'opera poetica di Luigi Armando Olivero  

Poesie di Luigi Olivero dedicate allo sport 

Pomin  d'Amor (Prima raccolta inedita di poesie di Olivero) 

Polemiche 

Poesie dedicate al Natale  e ad altre ricorrenze (Pasqua, Carnevale...) 

Bio-bibliografia 

Aeropoema dl'élica piemontèisa

Poesie inedite 

Poesie in italiano 

Poesie dedicate a Villastellone ed al Piemonte 

Episodi della vita di Luigi Olivero 

Scritti inediti  e non di Luigi Olivero 

Lettere ad Olivero 

Artisti che hanno collaborato con Luigi Olivero

Biografia di Luigi Olivero: primo scenario (Gli inizi) 

Biografia di Luigi Olivero: secondo scenario (Prima stagione poetica)

Biografia di Luigi Olivero: terzo e quarto scenario  (Verso la tempesta: diluvio universale ~ Viaggi) 

Biografia di Luigi Olivero: quinto e sesto scenario (Attività frenetica ~ Roma: maturità d'un artista) 

Biografia di Luigi Olivero: settimo ed ottavo scenario (Incontri, polemiche, viaggi, cantonate ~ Ultima stagione ~ Commiato) 

Appendici prima, seconda e terza 

Appendice quarta ed ottava 

Appendice quinta: gli scritti di Luigi Olivero su giornali e riviste 

Giudizi espressi in anni recenti su Luigi Olivero 

L'officina di Luigi Olivero 

Luigi Olivero legge la sua Ël bòch 

Documenti e curiosità 

Siti integrativi

 

 

Traduzioni poetiche

 I concetti ispiratori di Olivero traduttore in versi piemontesi

 

Ecco come Luigi Olivero ci descrive il suo apprendistato nell'arte della traduzione poetica. 

In tempi ormai remoti, ho avuto due interessanti conversazioni sull’arte di tradurre poesia da lingue antiche. Una fu con Manara Valgimigli, l’altra con Cesare Pavese.

In sintesi, Valgimigli sosteneva che tradurre significa anzitutto assimilare e poi interpretare, riesprimendo (au possible con i massimi rigore e nitore) la sostanza del testo. Soggiungeva che, p. es., quando una metafora è vivida, fosforescente, illuminante nell’originale, ma, alla traduzione letterale, risulta inerte, opàca, fossilizzata dall’usura dei secoli che l’ha convertita in un reperto archeologico di fronte alla più esigente e scaltrita sensibilità ultramoderna, occorre sostituirla con un’altra metafora in lingua odierna ma che aderisca perfettamente allo spirito e all’affabile comunicatività degli antichi.

Pavese dichiarava la necessità di forgiare, all’occorrenza, anche parole compòsite di due o tre altre parole fuse in una sola: pur di avvicinarsi all’istantànea fulmineità rappresentativa di certi testi arcaici, poniamo greci, assai concisi e diretti a confronto dei testi espressi negli idiomi moderni. In casi estremi di intraducibilità, suggeriva di ricorrere alla paràfrasi ombreggiata da una pàtina di antìco.

Addizionando i concetti di Valgimigli e di Pavese ed altri miei, maturàtimi in precedenza e successivamente, è ciò che ho cercato di realizzare traducendo in versi piemontesi. Non nascondo le difficoltà, che forse m’illudo di aver superate, impiegando scrupolosamente soprattutto i precetti dei miei due menzionati interlocutori.

(Dalla nota di Luigi Olivero alla traduzione di Mamurra e le Muse Almanacco Viglongo 1987.) 

Giovanni Raboni in Tuttolibri N° 293 28/11/1981 scriveva: …per essere buoni traduttori bisogna essere veri poeti, e, d’altra parte, non ogni poeta è automaticamente un buon traduttore di poesia. E, allora, diciamo, nel caso mio, un fedele ritrasmettitore di vibrazioni affini alla mia sensibilità.

(Dalla nota di Luigi Olivero a Rapsodia ‘d tradussion poetiche Romanzìe 1983.) 

Ho tradotto i poeti che mi hanno suscitato maggiori sensazioni, per evitare di cadere nell’imitazione. Traducendoli ho attuato una sorta di transfert e me ne sono liberato.

(Dall’intervista rilasciata ad Albina Malerba Incontro con Luigi Olivero ‘l caval ‘d brôns N° 5 maggio 1983.)

 

Traduzioni

 

Olivero

Olivero

 Olivero

Olivero

Olivero

Olivero

Olivero

Olivero

Olivero

Olivero

Olivero 

Olivero

Olivero

Olivero

Olivero

Olivero

Olivero

Olivero

Olivero

Da Musicalbrandé dicembre 1960

 

José Maria Premán

 

Scusa maira dël sol ëd sinch ore 

Cosa it serche ant costa viëtta sol dla seira?

O solin bel ëd sinch ore

për la viëtta ch'a të schiva, 

J'angavign ëd gir e svolte

l'àn color d'un verd oliva.

 

Cosa it serche ant costa viëtta sol dla seira? 

- Serch n'anel ëd bianch-argent 

ch'l'à përdù staneuit la luna.

 

Ora meurienta (Ël dì 's na va) 

Pì nen l'azur ëd lë stradon lontan;

pì nen col loboìt là, nì cole fior;

pì nen lë sbies... ades ël borgh inter

s'è fasse për mia sè eva d'amor! 

 

Seira

Nìvole aote. Vent freid. 

La seira a slarga 'n sël rì 

so capucc ëd lana neira.

  

Fior a l'à me desidere 

mach për ti, giojna mia!

 

Neuit

O borgh ëd Santa Cruz: 

già  sleuja l'ora mìstica e serena

che mi avrai da esse tò për sempre.

Crucifis, me borgh, con tre reuse

ëd passion mentre ch'a bruso -

an sla cruz santa 'd tò nom -

tò amor e tò mistere!

  

Ades sol  

Ades sol ant ël borgh.

Ades tuta soa blëssa

për mi sol, sota 'l vel bianch

da sposa dla luna.

Për anciarm, ël borgh e chila

son una cosa ùnica,

ant coste ore sole

così scure.

Esse sò për sempre;

e arvisté soe straiole

con tanta goj serena:

 oma che arvisteria

se mi pudèissa, amor, l'anima toa!

  

Ël borgh con luna 

Aossand, pcita, e bassand 

ij fij argentà dla luna,

tëssio 'n fassoletin candi

set viëtte disuguale...

Mi ij passrija 'nt ël crochèt. 

con basin, toe inissiaj!

 

'l caval 'd brôns, settembre 1931 (Grafia del giornale)

 

Friedrich Nietzsche

 

Ël cant Ancërmà  

Om! Sta bin atent!

Còsa ch'a dis

la Mesaneuit ancreusa?

«Mi durmìa, durmìa

peuj son dësviame

da un gran seugn profond!

Profond a l'é cost mond,

pi ancora 'd lòn ch'a l'abia pensà 'l Dì.

Profond l'é sò torment,

la gòi pi assé profonda che 'l dolor!

- Passa - a dis ël dolor,

tant che ògni gòi a veul eternità:

profonda, a veul, profonda eternità!»

 Ël Tòr N° 29/30, 1946

 

Venéssia 

Im në stasìa an sël pont,

sol, ant la neuit ë-vlutà.

Un cant unisia da leugn

e un boton d'òr a fiorìa

ant ël prà 'd j'eve dël mar.

 

Góndole, mùsica, luz

anmagà 'd seugn dondolavo,

ancontra a l'alba a glissavo.

Orchestra d'arpe, mia ànima

ant sò profond arsonava

d'una segreta elegìa

'd góndole s-ciave an caden-e...

 

Mi frissonava 'd piasì.

 

Ma chi lo scotava? Chi

sentìa col cant drinta 'd mi?

 Musicalbrandé,  settembre1964

  

Pater Noster (Traduzione dal latino)

 

Pare Nòstr, che t’ën guarde dal pi splendrient dij cei,

che tò nòm sia ‘nt ël cheur ëd j’òmini fratei:

che tò regn viva sempre ‘d zora l’umanità

e ch’a sia sempre faita toa santa volontà

tant an cel che ‘n sla tèra ‘ndoa ‘t seugno le masnà.

 

Pare nòstr, dane ancheuj la nòstra mica ‘d pan

che tuti ij dì cheujoma da le toe bianche man.

Scancela ij nòstri débit come noi, pecador,

sganfoma tuti ij débit dij nòstri debitor.

Ten-ne lontan dal mal. Fane rese al dolor.

 

E che toa grassia an vija,

ò Nosgnor. Così sia.

 Ij Brandé N° 72, 1949

 

 Federico Garcia Lorca

 Lorca

Da La Carovana N° 60/61 luglio~ottobre 1962

Romance de la Guardia Civil Española                        Romansa dle Guardìa Civil Spagneula

  

                                    A Juan Guerrero

                            Cónsul general de la Posia

 

Los caballos negros son.                                      Ij cavaj son tuti nèir.

Las herraduras son negras.                                   Le monture 'd fer son nèire.

Sobre lad capas relucen                                       'D zora ij mantej a bërluso

manchas de tinta u de cera.                                   tache d'inciostr e 'd sira. 

Tienen, por eso no lloran,                                     A l'han - për lòn pioro nen -

de plomo las calaveras.                                         ër lòn pioro nen -

de plomo las calaveras.                                         ëd piomb le teste da mòrt.

Con el alma de charol                                            Ànime lustre dë vërnis

vienen por la carrettera.                                          a galopo an sla strà bianca.

Jorobados y  nocurnos,                                           Tuti gheub a costà 'd neuit,

por donde animam ordenan                                     andoa 's fan viv a comando 

silencios de goma oscura                                        ëd silensi 'd goma scura

y miedos de fina arena.                                            e paure 'd giaira fin-a.

Pasan, si quieren pasar,                                            Passo, s'a veulo passé, 

yocultan en la cabeza                                               e 'ntërten-o ant ël pensé 

una vaga astronomia                                                 una fiosca astronomia 

de pistolas inconcretas.                                            ëd pistòle 'd fantasìa. 

            *                                                                                  *

¡Oh ciudad de los gitanos!                                         Óh, sità dij sìngher brun! 

En las wsquinas banderas.                                          Bandiere a tuti ij canton.

La luna y la calabeza                                                   La lun-a giàuna e la cossa 

con las guindas en conserva.                                       con le griòte an composta.

¡Oh ciudad de los gitanos!                                           Óh, sità dij sìngher brun!

¿Quién te vio y no te recuerda?                                   Chi l'ha viste e at seugna nen? 

Ciudad de dolor y almizcle,                                          Sità 'd dolor e dël mus-c, 

con las torres de canela.                                                con le toe tor ëd canela. 

            *                                                                                  * 

Cuando llegaba la noche,                                              Quand ch'a vnisija la neuit, 

noche que noche nochera,                                             neuit d'una neuit neuitèa. 

los gitanos en sus fraguas                                             ij singher ant soe fusin-e 

forjaban soles y flechas.                                                martlinavo 'd soj e 'd flecie. 

Un caballo malgerido,                                                  Un pòr caval malaviant

llamaba a todas las puertas.                                          ciamava a tute le pòrte. 

Gallos de vidrio cantaban                                             Galucio 'd vèder cantavo

por Jerez de la Ftontera.                                                a Jerez de la Frontera. 

El viento, vuelve desnudo                                             Ël vent a vira paicio 

la esquina de la sorpresa,                                               la cantonà dla sorprèisa, 

en la noche platinoche                                                   ant la neuit placà d'argent 

noche que noche nochera.                                             neuit, d'una neuit neuitèa.  

            *                                                                                  * 

La Virgen y San José,                                                    La Madòna e San Giusèp, 

perdieron sus castañuelas,                                             l'han perdù soe tarachëtte, 

y buscan a los gitanos                                                    e as na ven-o a serché ij sìngher 

para ver si las encuentran.                                              për ch'andvin-o andoa ch'a son. 

La Virgen viene vestida                                                  La Madòna a l'é vestija 

con un traje de alcaldesa                                                d'un vestì da sindichëssa 

de papel de chocolate                                                      ëd dorin da cicolata 

con los collares de almendras.                                       con ëd màndole ij colié. 

San José muove los brazos                                            San Giusèp a bogia ij brass 

bajo una capa de seda.                                                   sota na mantlin-a 'd seda. 

Detrás ba Pedro Domecq                                               Daré lor, Pedro Domecq 

con tres sultanes de Persia.                                            ven con trè sultan ë Persia. 

la media luna, soñaba                                                     La mesalun-a a sugnava 

un éxtasis de cigüeña.                                                     un seugn lusent ëd sigògna. 

Estandartes y faroles                                                       Stendard al vent e lampion 

invaden las azoteas.                                                         a cheurbo tute le trasse. 

Por los espejos sollozan                                                 Drinta ij specc a sangiuto 

bailarinas sin caderas.                                                      balarinëtte sens'anche. 

Agua y sombra, sombra y agua                                       Aqua e ombra, ombra e aqua 

por Jerez de la Frontera.                                                  a Jerez de la Frontera.  

            *                                                                                  * 

¡Oh ciudad de los gitanos!                                              Óh, sità dij sìngher brun! 

En las wsquinas banderas.                                              Bandiere a tuti i canton. 

Apaga tus verdes luces                                                   Dëstissa òe toe lus vërde 

que viene la benemérita.                                                 ch'ai riva la benemérita. 

¡Oh ciudad de los gitanos!                                              Óh, sità dij sìngher brun! 

¿Quién te vio y no te recuerda?                                     Chi l'ha viste e at seugna nen? 

Dejadla lejos del mar,                                                     Lassela sté leugn dal mar,

sin peines para sus crenchas.                                          sensa pemto për soe tërsse.   

            *                                                                                  * 

Avanzan de dos en fondo                                               Avanso 'd fianch doi për doi 

a la ciudad de la fiesta.                                                  d'an fond a la sità 'n festa. 

Un rumor de siemprevivas                                            Në schërziné 'd fior da mòrt 

invade las cartucheras.                                                   intra 'nt le cartociere. 

Avanzan de dos en fondo.                                              Rivo d'an fond doi për doi. 

Doble nocturno de tela.                                                 Cobie anvlupà 'd ragnà neire. 

El cielo, se las antoja,                                                    Ël cel, ai dà l'ilusion,

una vetrina de espuelas.                                                d'una giojera dë spron.  

            *                                                                                  * 

La ciudad libre de miedo,                                             La sità, gurà dë sparm, 

multiplicaba sus puertas.                                              moltiplicava soe pòrte. 

Cuarenta guardias civiles                                             Quaranta guardie civile 

entran a saco por ellas.                                                  intro dë stron a sacage. 

Los relojes se pararon,                                                  J'orleuri 'd colp son fërmasse, 

y el coñac de las botellas                                               e, 'nt le boteglie, 'l cognàc 

se disfrazó de noviembre                                               l'é deghissase d'amblé 

para no infundir sospechas.                                           an eva giauna 'd november

                                                                                         për nen fé nasse 'd sospet. 

Un vuelo de gritos largos                                              Un vòle 'd crìj a ventaj 

se levantò en las veletas.                                                l'é aussase da le bandaròle. 

Los sables cortan las brisas                                           Ij sàber tajo ij fij d'aria 

que los cascos atropellan.                                             che ij ciapin nèir a scarpiso. 

Por las calles de penumbra                                           Ant la mesombra dele stra 

huyen las gitanas viejas                                                 le veje sìnghërie a scapo 

con los caballos dormidos                                            con ij cavàj andurmì 

y las orzas de monedas.                                                 e ij tupinèt dij marengh. 

Por las calles empinadas                                               për le strajòle ch'a monto 

suben las capas siniestras,                                             ràmpio ij mantej dël maleur, 

dejando detrás fugaces                                                  lassand darera 'd lusent

remolinos de tijeras.                                                     viramulin ëd tësòire.   

            *                                                                                  * 

En el portal de Betlem                                                 Sota ìl porton ëd Betlem 

los gitanos se congregan.                                            ij sìngher ten-o consèj. 

San José, lleno de heridas,                                          San Giusèp, costà 'd ferije, 

amortaja a una doncella.                                             a vest da mòrta na fiëtta. 

Tercos fusiles agudos                                                 Fusij 'd pera puntùa 

por toda la noche suenan.                                           arbombo an tuta la neuit.

La Virgen cura a los niños                                          Meisin-a ij cit, la Madòna, 

con salivilla de estrella.                                              con salivëtta dë stèila. 

Pero la Guardia Civil                                                  E 'ntant la Guardia Civil 

avanza sembrando hogueras,                                      sëmna, an passand, ëd giolà 

donde joven y desnuda                                                andoa che, tënnra e paticia

la imaginación se quema.                                            la fantasìa as brusata.

Rosa la de los Camborios,                                          Rosin, la fija dij Camborios, 

gime sentada en su puerta                                            gëmiss quacià su la pòrta

con sus dos pechos cortados                                        con ij sò doj sen tajà 

puestos en una bandeja.                                               ant ne bassin-a sagnosa. 

Y otras muchachas corrian                                          E d'àutre fiëtte a corijo 

perseguidas por sus trenzas,                                        perseguità da soe tërsse, 

en un aire donde estellan                                             andrinta un'aria 'ndoa s-ciòpo 

rosas de pólvora negra.                                                reuse foà 'd pòver nèira. 

Cuando todos los tejados                                           Quand tuti ij tèit ëd le cà

eran surcos en la tierra,                                               son stàit ëd sorch ant la tèra,

el alba meció sus hombros                                         l'alba a l'ha fait bogié ant cel 

en largo perfil de piedra.                                            soe bianche spale scurpije 

                                                                                    come ant un gran blòch ëd pera.  

            *                                                                                  * 

¡Oh ciudad de los gitanos!                                        Óh, sità dij sìngher brun! 

La Guardia Civil se aleja                                          La Guardia ormai së slontan-a 

por un túnel de silencio                                            sota un gran arch ëd silensi 

mientras las llamas te cercan.                                   tant che le fiame a t'anvlupo.  

 

¡Oh ciudad de los gitanos!                                        Óh, sità dij sìngher brun! 

¿Quién te vio y no te recuerda?                                Chi l'ha viste e at seugna nen?

Que te busquen en mi frente.                                     Ch'at sèrco su la mia front. 

Juego de luna y arena.                                                Rabèsch ëd sàbia e 'd ciairdlun-a. 

 

Pen-a che sarai mòrt 

Pen-a che sarai mòrt

sotreme con mia chitara

drinta la sàbia.

 

Pen-a che sarai mòrt

randa ij portugài fiorì

e l'èrba 'd menta.

 

Pen-a che sarai mòrt

enteme, s'av fà piasì,

s'na bandaròla.

 

Pen-a che sarai mòrt!

 

Musicalbrandé N° 4, 1959 - Con titolo Memento sul 'l caval 'd brôns, marzo 1968

 

Cita romansa dla passion stërmà  

Ël sol a l'é sfrizase

tra 'd nìvole d'aram.

A cala dai mont azur un'ària cantarin-a.

Ant ij prà vèrd dël cel

tramez a fior dë stèile

la lun-a a s'ancrocëtta

parèj d'un'agràf d'òr.

 

Për la campagna (ch'a speta dë strop d'ànime sìnghëire)

con mè fardel ëd pen-a

vad sol për la mia strà:

ma 'l cheur am canta 'l seugn

dròlo d'una passion

përdùa 'nt le lontananse

'd distanse sensa fond.

 

Ricòrd ëd bianche man

an sla mia front gelà.

Òh, passion angëmmà

'd mie làcrime 'd rozà!

Musicalbrandé N° 12, dicembre 1962

 

Sagra ‘d San Michel  a Granada   

Da le balustre a së s-ciàiro

për ël mont, ël mont, ël mont,

muj e ombre 'd muj an fila

tuti carià 'd virassoj.

 

J'euj dij muj, fognand le ombrìe,

as cëfisso 'd neuit inmensa.

E ant ij gomo aùss dël vent

a schërzin-a l'alba 'd menta.

 

Peuj, un cel ëd mulèt càndi

sàra pian j'euj ëd mercuri,

argaland a la mezombra

un coamel fëstonà 'd cheur.

 

E as fà, l'eva, frèida frèida

për che gnun peussa tochela:

l'eva frèida e paticiòla

për ël mont, ël mont, ël mont. 

                  * 

San Michel, tiflà 'd pissèt

ant la nìcia dla soa tor,

mostra le soe bele cheusse

antornià 'd lumin avisch.

 

Ven-o al pòr vësco 'd Manila,

bòrgno e 'd pel color zafran,

ch'a dis mëssa a doi indrit:

për le fomne e 'd cò për j'òmo.

 

Biond arcàngel debonàir,

con ël gest ch'a dis mezdí,

a fa viza dë scassé

'd piume d'osej cantarin.

 

Vanta ant ij frisson dij céder

San Michel, efèb guerier,

profumà d'àqua 'd colònia,

leugn dai càles d'reuse e fior.

 

                  * 

Ël mar bala su le sàbie

un poema 'd pogieuj bleu.

Rivére séulie dla lun-a

pèrdo 'd vengh e a vagno 'd vos.

 

Ven-o 'd matòte an mastiandse

dë smens d'òr ëd virassoj.

L'han ëd cuj che, al ciàir-e-scur,

parësso 'd siete d'aram.

 

Ven-o, apress, ëd sivalié

sgnor ëd dame safrinà:

dame an deul për nostalgìa

d'un sò jer rich d'arsigneuj.

 

San Michel a stasîa chiet

ant la nìcia dla soa tor,

an blagand trincà 'd gonnlin

ësteilà 'd lustrin e 'd gale.

 

San Michel, rè 'd tuti ij glòb

e dij màgich nùmer ghìsper,

gòd soa sagra barbaresca

'd crij d'amor e 'd trasse an fior.

 

A Roma 'l 29 dë Stèmber 1986, di consacrà a San Michel Arcàngel.

Musicalbrandé N° 113, marzo1987

 

San Gabriel 

(Sevilla) 

                            A D. Agustin Viñuales 

                  I 

Un bello niño de junco, 

anchos hombros, fino talle, 

piel de nocturna manzana, 

boca triste y ojos grandes, 

nervio de plata caliente, 

ronda la desierta calle. 

Sus zapatos de charol 

rompen las dalias del aire, 

con los dos ritmos que cantan 

breves lutos celestiales.

En la ribera del mar 

no hay palma que se la iguale, 

ni emperador coronado 

ni lucero caminante. 

Cuando la cabeza inclina 

sobre su pecho de jaspe, 

la noche busca llanuras 

porque quiere arrodillarse.

Las guitarras suenan solas 

para San Gabriel Arcángel, 

domador de palomillas 

y enemigo de los sauces. 

San Gabriel: El niño llora 

en el vientre de su madre. 

No olvides que los gitanos 

te regalaron el traje.  

                  II 

Anunciación de los Reyes, 

bien lunada y mal vestida, 

abre la puerta al lucero 

que per la calle venía. 

El Arcángel San Gabriel, 

entre azucena y sonrisa, 

biznieto de la Giralda, 

se acercaba de visita. 

En su chaleco bordado 

grillos ocultos palpitan. 

Las estrellas de la noche 

se volvieron campanillas. 

San Gabriel: aquí me tienes 

con tres clavos de alegría. 

Tu fulgor abre jazmines 

sobre mi cara encendida. 

Dios te salve, Anunciación.

Morena de maravilla. 

Tendrás un niño más bello 

que los tallos de la brisa.

¡Ay San Gabriel de mis ojos! 

¡Gabrielillo de mi vida!, 

para sentarte yo sueño 

un sillón de clavellinas. 

Dios te salve, Anunciación, 

bien lunada e mal vestida.

Tu niño tendrá en el pecho 

un lunar y tres heridas. 

¡Ay San Gabriel que reluces!

¡Gabrielillo de mi vida! 

En el fondo de mis pechos 

ya nace la leche tibia. 

Dios te salve, Anunciación. 

Madre de cien dibastías. 

Aridos lucen tus ojos, 

paisajes de caballista. 

                  * 

El niño canta en el seno 

de Anunciación sorprendida. 

Tres balas de almendra verde 

tiemblan en su vocecita. 

Ya San Gabriel en el aire 

por una escala subía. 

Las estrellas de la noche 

se volvieron siemprevivas.

 

Tre storielle del vento 

                  I

 

Il vento veniva rosso

attraverso il vàlico acceso

e si è fatto verde, verde

sul fiume.

Poi diverrà violetto

giallo e...

Sarà sui campi arati

arcobaleno teso.

 

                  II

 

Vento rappreso.

Sopra il sole.

Sotto

le alghe tremebonde

dei pioppi.

E il mio cuore

tremando.

 

Vento rappreso

alle cinque della sera.

Senza uccelli,

 

                  III

 

La brezza

è ondulata

come i capelli

di certe fanciulle.

Come le venature

di certi vecchi marmi.

La brezza sussurra come l'acqua

e si spande

- come un bàlsamo bianco -

negli àlvei dei torrenti

e sviene

all'urtare contro il duro

della montagna.

 

Stampa del cielo 

Fra le stelle

non ci sono spose.

 

Così vezzose

come sono le stelle!

Attendono un galante

che le assurga

alla sua Venezia ideale.

 

Tutte le notti occhieggiano

alle persiane,

- Oh cielo di mille piani!

e offrono lirici

battiti di ciglia

ai mari d'ombra

che le circondano.

 

Ma pazientate, fanciulle,

che quando io morrò,

a una a una vi rapirò

sulla mia puledra di nebbia.

 

La fiera letteraria N° 4/5 del 4 gennaio 1951

  

Antonio Machado

 

E a Granada vi fu un crimine 

                         I 

                Il crimine 

Era stato visto, in cammino tra fucili

per una lunga strada,

apparire nella campagna fredda

ancora stellata, la campagna del mattino.

Essi hanno ucciso Federico

nell'ora in cui sorgeva la luce.

Il plotone dei carnefici

non osava guardarlo in faccia.

Tutti hanno chiuso gli occhi.

E hanno pregato: - Dio stesso non ti potrebbe salvare!

Egli si è abbattuto, morto, Federico

- sangue in fronte, piombo nelle vene -

... E a Granada vi fu un crimine!

Lo sapevate? - Povera Granada! - La sua Granada!... 

                       II 

Il poeta e la morte 

L'hanno visto camminare solo con lei,

senza paura della sua falce.

Già il sole batte sulla torre e la torre; e i martelli

sull'incudine, e l'incudine, e l'incudine delle fucine

Federico parlava,

corteggiando la morte e la morte ascoltava:

«Poiché ieri, nei mie versi, cara compagna,

risuonava lo schiocco delle tue palme secche

«Poiché ieri, nei miei versi, cara compagna,

e poiché tu hai dato al mio canto e il tuo gelo e alla mia tragedia

il filo della tua falce d'argento,

io ti canterò la carne che non hai più,

i tuoi occhi assenti,

i tuoi capelli che il vento scuoteva

e le rosse labbra che ti si baciava...

Oggi come ieri, mia morte, bella gitana,

ah!, come si sta bene, soli con te,

a respirare quest'aria di Granada, la mia Granada!». 

                  III 

L'hanno visto camminare...

Innalzate, amici miei, un sepolcro di pietra e di sogno - nell'Alhambra,

per il poeta,

sopra una fontana in cui l'acqua piange

e dice eternamente:

- Vi fu un crimine a Granada! Nella sua Granada!

 

La fiera letteraria N° 4/5 del 4 gennaio 1951

 

 Giuseppe Ungaretti

 Ij dì e le neuit 

Ij dì e le neuit

a son-a

ant costi mè nèrv

d'arpa.

Vivo 'd costa gòi

malàvia d'univèrs

e seufro

'd nen savèila visché

ant le mie

paròle.

 Musicalbrandé, giugno 1961

 

Albert Flory

 

«La Vierge»  

Come ant na cuchija 

a së scota 'l romor 

ëd j'onde e as vëdo nen, 

 

mi sento ch'a bësbija

drinta mè cheur l'amor 

e lo conosso nen.  

Ël Tòr N° 28 1 dicembre 1946 

 

 

Elegìa dël ritorn 

                  I

 

 

Mè paìs, son ritornà...

Chërdìa 'd vëde 'd facie amije.

Ma, 'd mi, gnun s'é ricordà. 

 

E quand l'hai dovù chité

le toe stra bianche e fiorije, 

gnun l'é vnume a saluté. 

                  II  

L'hai portate, sot n'àutr cel,

         ant ël mè cheur 

ch'at pudìa nen dësmentié. 

 

E 'l ritorn l'é stàit crudel: 

         dòp tant maleur, 

son ë-smiate un foresté.  

                  III 

Ma, 'nt ël cit tò simitere, 

         sol, angossà, 

l'hai lesù 'd nòm su doe pere 

         e l'hai piorà. 

 

Traduzione inedita da un dattiloscritto del Fondo Olivero di Villastellone 

 

Walter Savage Landor (1774-1864) 

 

La strà maestra (Da Brevities, LXI)  

Pi numerose assè dij ragg dle stèile 

a son le strà dla vita: e tute a men-o 

a na strà bianca - inmensa - andoa che tuti 

androma a pèrdse... 

«É-lo ch'a son sparì?» 

E ij viv, dij mòrt, a savran mai dì 'd pì.  

 

La sfida dla damisela con vantaj (Da Brevities, LXIII)   

A l'ha un vitin ëd parpajòla. e, guardla, 

chila a të sfida con ël sò ventaj. 

A lo deurb, a lo sera, e, facessiosa, 

schissand un euj e soridend furbëtta. 

lo ponta - com se fussa na pistòla 

'd cana longa - mirand a la toa testa. 

Tut ant në slussi e da un marciapé a làutr... 

Përchè 't ses nen andaje ancontra, 'd nans

che chila, con soa andura squasi 'd dansa, 

giomai rivà al portièt ëd sò palass 

a sonèissa, e, a soe spale, a te sbatèissa 

la pòrta? 

Òh quand. bon fieul, t'amprenderas 

che dòne e temp përdù torno pi nen?

Che 't l'avrije dovune profité 

al moment giust? Che, nen avendlo fàit, 

tut l'é falì, tut l'é svanì për sempre? 

Adess, ët bate a veuid ij neu dle man 

an sla front: ringretand la damisela 

che, arvìscola parèj dl'eva d'un rì, 

t'era smonusse... E tòst l'é sghijà via. 

  

Piemontèis ancheuj N° 27, 1985 (Anche in Romanzìe)

  

Paul Fort

  

Rondò dla Pas  

Se tute fie dël mond s'vorèisso dé da man,

sui bòrd dij mar lontan pudrìo dansé la ronda. 

 

Se tuti ij fieuj dël monda fèisso ij marinar, 

d' barchëtte, d' zora ìl mar. farìo 'n bel pont an sl'onda.

  

Una garlanda 'd pas montrìja al cel profond

se tute gent dël mond s'vorèisso dé da man. 

 

Ij Brandé N° 116  1 luj 1951 

 

Rafael Alberti 

 

"Rio Rojo"  

Peus nen tonfeme ant ël rì 

come a fà la pieuvra, amor,

përchè ij sen ë-spartì dl'eva 

manderìo dë sbrincc ëd sangh. 

Ij Brandé N° 116  1 luj 1951

 

 Renzo Pezzani

 

 

Ij mèis ëd l'ann

A lo san pro, ij gognin, 

che ij mèis ëd l'ann a son 

na nià 'd dódes vërdon: 

sèt grass, quat mzzan e un fin.

   

Ma, se ognidun l'ha un frut,

se ognidun l'ha un fior,

a-i në j'é gnun, tra 'd lor, 

ch'a sia pì bel ò brut. 

 

A son tuti fratej 

e ognidun l'ha un mësté: 

j'é col ch'a sgrun-a ij pòis, 

col ch'a spòrz ël sëstin. 

 

J'é chi pova ò chi ènta, 

chi lavora ò mësson-a: 

j'é chi pòrta una doja 

d'eva për chi l'ha sèj.

  

J'é chi versa un'aversa 

ëd pieuva 'd fij lusent... 

Gnun ch'a staga a fé gnente

guardand passé la gent. 

 

Na famija pì bela 

al mond as vëdrà mai. 

A son dódes, ij mèis, 

e tùit fan sò travaj. 

 

Fërvé l'é un fré 'd ciadeuvre bele. 

Beuj ël fèr ant ël feu, peui lo sbujenta 

ant ël sëbber. A mòla le faussije, 

aùssa tanti arnèis 

për ij travaj ëd j'àutri mèis. 

Ant ij di curt, a fond 

le fiòche e le speranse. 

Fërvé l'ha un fèr an man

e ant ël pensé a l'ha 'l gran. 

 

Ël di 

Ven, dòp l'alba, la matin 

pì nossenta che un citin.  

 

Maravija dël Creà, 

'd cò stavòta 'l sol l'é nà. 

 

Ò mè cit. ël sol l'é bel 

ché a-j dà vita al di novel.

  

Ma lë sguard che an dà Nosgnor 

a slusiss ëd lus d'amor.

  

Meuir ël di, 'l sol a tramonta: 

con le stèile a-i ven la lun-a. 

 

E ant la neuit j'é un grì ch'a-j conta,

cole stèile, un-a për un-a. 

 

L'ovrié 

Dis Nosgnor a chi bat 

a le pòrte 'd sò Regn: 

«Fame vëdde le man.

Savrai se it në ses degn». 

 

Tòst l'ovrié a-j fa vëdde 

le soe man pien-e 'd quaj:

l'han tocà tuta la vita 

mach la tèra, 'l feu, ij metaj. 

 

Speuje a son d'ògni richëssa, 

nèire, strache, ij dij pesant. 

E Nosgnor a dis: «Che blëssa! 

Son parèj, le man dij Sant». 

 

L'eva

Eva pura 'd sors ëd riva,

chi ch'at toca at sent viva,

chi ch'at pija e at pòrta via 

pòrta 'l cel drinta la sija. 

 

Chi ch'at bèiv, a bèiv ëd lus. 

It j'ere nìvola, fiòca.

'T j'ere cant ëd fontan-a. 

'T j'ere un dindané 'd ciòca. 

 

'T ses la gòj dël giardin. 

'T ses la fòrsa dël mulin. 

Pelegrin-a 'd tute strà 

it tornras doa ch'it ses nà. 

 

Nivolen-a, pieuva, fiòca, 

fontanin-a giù dla ròca, 

perla 'd brin-a su la front, 

ragg ëd lus calà dal mont. 

 

Ij Brandé Armanach 1982

  

Àngel che a va 

S'na strà fioria 'd lumin 

l'Àngel dla neuit bërgera 

a torna da la fera 

d'un paisòt alpin. 

 

Për lòn che, ant l'ambrunì,

l'ha podù vëdde ant tut, 

va pensieros e mut 

come l'eva dël ri. 

 

E, abdasand, as compagna 

con la gent la pi mnuva:

a dëscor dla campagna, 

dla smens, d'j'arcòlt e dl'uva. 

 

E dla pieuva e dij vent, 

e dle giornà e dij Sant, 

e dle lun-e al chërzent 

e dle lun-e al calant 

 

e dle fior e dle frute... 

A cheuj drinta sò cheur 

la fatiga, 'l maleur. 

A l'é l'amis ëd tute 

le creature bele,

le creature brute.

 

'l caval 'd brôns N° 11 1967 

 

François Villon

Balada dij pendù  

Gent che dòp noi vive ancóra, ò fratej,

guardene nen con ël cheur andurì,

ché, se pietà 'd nòst maleur peule avej,

Nosgnor për noi pudrà debne mersì.

Sinch, ses, ën vëde pendù belessì.

Quant a la carn, che tròp l'oma nurrì,

or a furmiola 'd vèrm giàun e spurì

e an sënner j'òss an caschran sul gramon.

Oh, sbëfié nen nòst festin maledì.

Preghé Nosgnor, féne dé sò përdon!

 

                            * 

E, se 'v ciamoma fratej, prové nen

vërgogna 'd noi ch'a l'han fàne murì

për giust castigh. Ma arcordeve, seren,

che tut pòvr òm a cost mond peul falì.

Smon-e le scuse 'd noi, scòrze 'd bandì,

al Fieul 'd Maria 'd giusmin tut vestì

për che, ant soa gràssia, an manten-a a l'abrì

dai feu dl'etèrna infernal danassion.

Noi soma mòrt. Gnun an dev maledì.

Preghé Nosgnor, féne dé sò përdon! 

                            * 

La pieuva 'd mars l'ha brossane, arzensà,

cangiane 'l sol ant branch sèch e scrussì.

Bèrte, croass, nòstri euj l'han rancà

e ij pèil dla barba e dij sign dëscuzì.

Mai un pò 'd réchie né neuit né dì.

Peuj 'd sà, peuj 'd là, scoratand a piasì,

ël vent në sbat con ëd crij da strunì.

Pi 'd bèch che d'ije ant ij nòstri s-ciancon...

Vnì mai a sté 'nt nòstr ë-strop maledì.

Preghé Nosgnor, féne dé sò përdon! 

                  ENVOI 

Prènsi Gesù, sgnor dël mond, esaudì

nòstra speransa 'd nen essi sezì

dai trent dl'Infern: ant ël nòstr abandon.

Gent, rije nen 'd nans a noi maledì.

Preghé Nosgnor, féne dé sò përdon!

Voltà an piemontèis ant ël Di dij Mòrt MCMXLIII

 Musicalbrandé N° 11, settembre 1962

 

 Gabriele D’Annunzio

Ultima                 

La vita dl'òm l'é sensa cangiament.

L'ha mach na fàcia la malinconìa.

Ël pensé l'ha për sima la folìa.

E l'amor a s'anlija al tradiment.

 Ponente d’Italia N° 4, 1963              

           

 Ezra Pound

L’hai sentù un vent… 

L'hai sentù un vent arvìscol ch'am sërcava

drinta a 'd boschin-e chiete.

L'hai vist un vent arvìscol ch'am sërcava,

àut, an sël mar seren.

 

E andrinta a 'd bòsch afros

i son ancaminame.

E 'd zora a d'eve silensiose, mòrte,

tut sol son azardame.

 

Neuit e dí,

sërcand cól vent leger.

 

Musicalbrandé, settembre 1964

 Anonimo giapponese

 

"Haiku" 

Sluve 'd furmije 

s'un ghivo mòrt al sol. 

La stra a l'é bianca.

 

Ij Brandé N° 161 15 maggio 1953

 

 

Saffo

 

Ó pura Saffo dij cavèj dë viola,

Saffo ornà 'd poesìa e 'd soris doss.

                                   ALCEO

Saffo, miracolosa creatura,

                                  STRABONE

Ti 't ses... 

Ti 't ses pi càndia che 'l làit,

ir ses pi slissa che l'eva,

t'l'has una vos pi armoniosa

che ij fij d'un'arpa ch'a seugna.

Quand che 't socrole la testa

t' ses pi sfrandò che un pojìn.

E 't ses pi tënnra 'd na reusa,

pi séulia e càuda 'd na vesta.

E 't ses pi òr

- pi biondarossa - che l'òr.

 

Le stèile velà 

Le stèile antorn a la lun-a

as cheurbo d'un vel ij facin bërluzent

quand la lun-a pien-a, a sò corm,

vestìa d'argent,

a splend su tuta la tèra.

 

Color e fior 

La tèra a l'é tuta angiojà 'd fior,

fior ë tuti ij color.

 

Cisi d'òr a s-ciodìo

arlongh a la riva dël mar.

 

Éros ëd porpra 

Varda, Éros cala dal cel

anvlupà ant un mantel

ëd porpra.

 

Colombin-e 

A l'han sentù un gel ant ël cheur.

E a l'han lassà casché j'ale.

 

Fiëtte 

Come un oslin a la mare,

mi coro a ti con ale slargà.

 

L'hai vist una fiëtta

legera ant ël prà

cheuje 'd fior.

 

Mi l'hai vorsute bin, Àttide, al temp

che 't j'ere una cita dlicà

ancor nen tocà da la gràssia dl'amor.

 'L caval ‘ brôns, novembre 1984

 

Amor (50, 114, 151 Diehl)  

Socrola amor mè cheur 

come 'l vent ëd le montagne 

ch'a sfranda an sle roj.  

 

Bon-a mare, 

peus pì nen tësse la tèila. 

Anvìa d'un fieul am pòrta a la folìa 

tra un vòl sburdì 'd colombe d'Afrodite. 

 

Fërmte, ò car, fërmte 

dë 'd nans a mi: e anvlupme ànima e còrp 

ant la lus 

ëd la grassia imperiosa dij tò euj. 

 

La vesta 'd Gòngila (36 D.)  

Ven për piasì, Gòngila, ven 

con tò mantel ëd làit. 

Ancora a vòlo antorn a ti 

le doe farfale andorà 'd mie parpèile, 

tant it ses bela. 

Costa midema toa vesta 

mach a guardela 

am fà tramolé.   

La gòj 

am ricama le carn ëd frisson. 

 

Malinconìa (94 D.) 

L'é tramontà la lun-a. 

Tramontà son le stèile. 

Mesaneuit. L'ora a passa. 

E mi son sì. Mi. Sola.  

 

Ràbia (126 D.) 

Quand che la ràbia a gonfia tò cheur, 

ten a fren la lingua: 

përchè 't bàule mach pì 'd paròle van-e.  

 

Dòna rùstica (61 D.)  

Come a peul dete mai tanta dosseur 

al cheur 

una fomna talment rùstica e gòfa 

che a sà gnanch solevé un frisin la còta

për mostré le cavije?  

 

L'arsigneul (121, 122 D.)  

Mëssagé dla primavera, 

verd arsigneul dël cant soav.  

 

La cita 'd Saffo (152 D.)   

Mi l'hai na fiëttin-a assé bela: 

a l'ha un facin 

ch'a smija un pomin 

d'òr.  

Për chila mi darìa la Lìdia 

e 'd cò l'ìsola 

'd tuta mia bin 

                         Lesbo. 

 

Ij Brandé Armanach ëd Poesìa Piemontèisa, 1986  

 

Nata tra il VII e il VI sec. a. C. nella cittadina di Ereso nell'isola di Lesbo (Mar Egeo settentrionale, presso l'Asia Minore), Saffo trascorse la maggior parte della propria esistenza nel centro più ricco e importante di Mitilene, insegnando musica e danza alle giovani figlie dei nobili. In virtù della sua poesia intrisa di raffinatezze erotiche - ispirate più che dal mondo greco, dalla contigua fastosa civiltà orientale - Saffo divenne, ancora vivente, un personaggio leggendario. Fu autrice di nove libri di liriche in dialetto eolico e improntate a vari generi: epitalamico, mitologico, innografico (corale) e soprattutto a quello dei canti d'amore, uno dei quali venne poi fatto oggetto di libera imitazione da parte di Catullo. La poesia di Saffo - anche quando concerne direttamente i non dissimulati penchants epidermici della poetessa «dalle chiome di viola» nei riguardi delle sue belle e acerbe discepole Gongila, Attide, Dica, Anattoria, Agrignota ed altre - non ha nulla di morboso. Si libra in una sfera di umanissima ipersensibilità, di carezzevole e spesso quasi casta sensualità, che attrae ancora oggi l'attenzione dei filologi e degli innamorati della poesia di tutti i tempi: perché il fluido magnetico, lo charme, la lievità e l'immediatezza dei suoi versi la collocano tra le manifestazioni d'amore più seducenti del mondo antico e di quello moderno. Sono pervenuti ai nostri giorni un'ode intatta e circa duecento frammenti scoperti in papiri e in residui di volumi su pergamena rinvenuti in Egitto. Dopo oltre due millenni e mezzo, questi frammenti si palesano precorritori di certe attuali avanguardie essenzialistiche di poesia-lampo, all'elletroshock, a base di crepitanti impulsi o suggerimenti «emblematici». Ed è questa la felice intramontabilità classica si Saffo. 

Le edizioni dei testi greci di Saffo, consultate e raffrontate, sono: anzitutto quella di E. Diehl. poi quella di T. Racucci e A. Puech e, inoltre, di E. Lobel e D. Page. (Luigi Olivero) 

  

Nòsside

   

Salut a Saffo (A. P. VII 718)  

Viandant, se a t'ancàpita viagiand 

ëd porté ij pé a Mitilene 

dova un temp son fiorìe 

e le grassìe e le danse e ij cant ëd Saffo, 

nonsia a la gent che 'dcò mi 

son ëstàita amija dle Muse. 

Dì che la drùa tpra 'd Lòcri 

a l'ha generame. 

E, anfin, ës-ciarìss che Nòsside 

a l'é stàit mè nòm. 

  

Va a Mitilene, viandant. 

Va.   

Ij Brandé Armanach ëd Poesìa Piemontèisa, 1986 

  

Nòsside fu poetessa greca, nata agli albori del III sec. a. C. a Locri Epizefiri. Produsse in dialetto dorico suadenti epigrammi d'amore: soltanto dodici dei quali pervenutici attraverso l'Antologia Palatina. 

Il testo di Nòsside è quello che figura nell'Antologia Palatina di F. Dubner ed E. Cougny. (Luigi Olivero)

 

Catullo

 

Litra a Ipisitilla

Carme XXXII 

Scota, mia dossa Ipisitilla

mia gòi, mia sola delìssia,

ancheuj peus vnite a trové?

Se 't veule, fà, për piasì,

che gnin a froja toa pòrta.

Làssmëla sbaja e seurt nen.

Resta an-të-cà. Mi vnirai

a dete - con në spërvëzzo

da gal - neuv preuve d'amor.

Se lòn at va, scrivme tòst.

Son si, bin diznà, slambanà,

le miole pien-e. E 'l pichèt

ch'am drissa a tenda la tùnica.

 

Euj d'amel

Carme XLVIII 

Ò mè Giovensi, se podèissa mai

basete j'euj color dl'amel dorà,

'd tërsentmila basin mi ij curbirìa

sens'arfissieme mai, sens'arfissieme.

L'amson dij mè basin a fussa bin

pi bondosa 'd jë spi d'un camp ëd gran.

 

L'òssi at fà mal

Carme LI bis

 

L'òssi, Catullo, at fà mal. Tantutun,

at pias e tròp t'amuse a fé 'l plingan.

D'grand rè e 'd sità, dal remp dij temp, a l'ha

- l'òssi - crazà.

 

Mia dòna a dis

Carme LXX 

Mia dòna a dis ch'a sarà mai d'gnun àutr

che mia, ànche se Giove a la gatièssa.

A dis... Ma lòn che fìa dis a un moros

scrivlo an sël vent, scrivlo an sl'eva corìa.

 Almanacco piemontese Viglongo 1987

 

Aristofane

 J'osej 

Òh, noi, rassa d'osej

beàta che. tra i gej,

portuma gnun mantej;

 

né, dal pi àut dij cej,

n'anfilsa 'l sol d'istà

con soe lanse afoà!

 

Noi cantoma an sij pasch le nòstre veuje,

su dë sbalàuce 'd rame ò ant cun-e 'd feuje,

quand l'ària a l'é pi càuda ant ël mesdì.

 

E nòstr cant armonios a lo xompagna,

la siala, cioca 'd sol, che, an sla campagna,

réssia 'd ragg d'òr sugnand j'eve dij rì.

 

Quand l'ària a l'é pi càuda ant ël mesfì.

 

Òh, noi, rassa d'osej

beàta che. tra i gej,

portuma gnun mantej;

 

né, dal pi àut dij cej,

n'anfilsa 'l sol d'istà

con soe lanse afoà!

 Ij Brandé Armanch ëd poesìa piemontèisa 1991

 

Meleagro

 Eliodòra 

«Chi sarà mai cola dossa Eliodòra

ch'a viv ësconossùa ant ël mè cheur?».

 

«Bon poeta nossent, l'é na mistà,

un'ilusion creà

da la toa anvìa d'amor».

 

Ò, baluëtte color

dle reuse ancarnà

ëd j'an-namorà!

 

Ij Brandé Armanch ëd poesìa piemontèisa 1991

 

Marziale

 Contra Sesto

 Ti 't dise, Sesto, che le bele fije

mach a guardete a pijo feu

d'amor për ti?

 

Pròpi për che 't l'has la fàcia spàlia

d'un pòvr omnèt giomai mesëstenzù

che disperatament a noa sot-eva?

 

Ij randé Armanch ëd poesìa piemontèisa 1991

 

Anacreonte

 Fiëtta ch'a noa 

Spartend l'onda dël fium,

mi solevo la testa.

 

E son tuta ciàira

e stissanta 'd pèrle

ëd luz.

 

 L'assùl d'Éros 

Con un grand assùl

a l'ha colpime,

come un ës-ciapabòsch,

Éros.

 

E peuj a l'ha lavame la ferìa

ant un rì gonfi 'd tempesta.

 

Sle vint còrde dl'arpa 

Scor la mia man

ant sle vint còrde dl'arpa.

E ti 't fiorisse,

ò atleta Leucàspi,

dle nòte 'd sèt color

ëd l'arcansiel

ëd la toa gioventura.

 

Ij Brandé Armanch ëd poesìa piemontèisa 1991

 Sergei Horn

Disegno di Sergei Horn da Rondò dle masche, L'Alcyone, Roma, 1971